Le transizioni di vita come competenze sul lavoro

Data di pubblicazione: 21 Ago, 2023

Intervista a Riccarda Zezza

Imprenditrice, innovatrice e mamma. Riccarda Zezza è tutte queste cose insieme, nonché CEO e fondatrice di Lifeed, società di education technology a impatto sociale che dal 2015, attraverso un metodo di apprendimento proprietario, il Life Based Learning, trasforma le transizioni di vita e le relazioni di cura in momenti di apprendimento e di sviluppo delle competenze soft.

Nel corso della sua carriera, Riccarda Zezza si è costantemente impegnata nel far aumentare la consapevolezza di imprese e lavoratori sulla potenza detonatrice che esperienze personali, come la gravidanza, un lutto, affrontare un cambiamento o occuparsi di un genitore fragile, possano avere sulle competenze soft che abbiamo e che dalla vita personale possiamo trasferire sul lavoro.

In occasione della pubblicazione del suo ultimo libro, Cuore Business, le abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa in più delle sue battaglie e in che modo la vita personale ha influenzato quella professionale.

Qual è il suo percorso professionale?

Parto paradossalmente da un episodio personale e non professionale: ho avuto due figli, Marta e Luca, nel 2008 e nel 2011, e ci sono stati problemi entrambe le volte rientrando dal congedo parentale.

Essere assenti era considerato una debolezza. Nel caso della prima maternità fu terribile ma già con la seconda avevo acquisito forza. La cosa paradossale era che io, proprio dall’ esperienza della gravidanza e della maternità, mi sentivo arricchita: ero diventata più empatica e organizzata, avevo imparato ad ascoltare ed ero diventata una buona motivatrice! Ho provato a capire e a studiare il tema, scoprendo molti studi che mostrano come un individuo che sta attraversando cambiamenti rilevanti nella propria vita sia in grado di sviluppare competenze che possono essere usate in altri ambiti, la cosiddetta transilienza. Da qui un nuovo metodo di apprendimento, raccontato nel libro intitolato MaaM (Maternity as a Master), scritto insieme all’Executive Coach Andrea Vitullo, e la scelta di aiutare altre persone a valorizzare le proprie esperienze di vita in ambito lavorativo.

Oggi è alla guida di Lifeed, come ha avuto questa idea e con quale obiettivo?

Mi sono resa conto che aiutare le persone a sviluppare maggiore consapevolezza senza trasformare la mentalità delle imprese è un lavoro vano. Lifeed nasce proprio per questo motivo, contribuire a fare una piccola rivoluzione.

Nel 2014 abbiamo iniziato a portare il metodo Life Based learning nelle aziende proponendo l’idea del Master online. Nel tempo il progetto si è trasformato e oggi è diventato una piattaforma di self coaching che si rivolge a tutti i talenti. Partiamo dal presupposto che tutte le transazioni di vita – come una separazione, il cambio di casa o il prendersi cura di familiari fragili – permettono di allenare e migliorare le proprie competenze, trasferendole da un ruolo all’altro della vita. Le aziende che riescono ad abilitarne lo sviluppo – valorizzando le capacità nascoste che risiedono nella nostra vita privata – sono particolarmente produttive, i lavoratori più felici e si sentono particolarmente coinvolti e vicini ai valori aziendali. Insieme, imprese e lavoratori, costruiscono una società più equa, più attenta ai bisogni delle persone e più sostenibile.

Quali sono le competenze che acquisiamo dopo la nascita di un figlio?

Tantissime e riguardano non solo le neomamme ma anche i neopapà, che spesso non si accorgono, dopo la nascita di un figlio, di essersi arricchiti di skills essenziali nel mondo del lavoro. Pensiamo alla gestione della complessità e di conseguenza al problem solving, così come alla gestione del tempo e delle priorità che porta a migliorare le proprie capacità di giudizio e di decisione, nella vita familiare così come nella sfera professionale. Sono competenze soft che si generano dalle esperienze di vita e che caratterizzano le capacità umane. Chi meglio di un genitore sviluppa capacità di ascolto, creazione di alleanze, capacità di gestione del tempo e delle priorità, gestione rapida delle complessità, agilità? Parliamo di un tesoro infinito e spesso inespresso in azienda.

Come possiamo usare al meglio queste competenze?

Occorre innanzitutto essere consapevoli dei ruoli che rivestiamo nella vita e dei talenti che sviluppiamo in ciascuno di essi. Secondo una ricerca del nostro Osservatorio Vita-Lavoro, che coinvolge 100 aziende e 50 mila dipendenti, il 70% delle competenze soft delle persone è utilizzato nella sfera personale e familiare. Le donne poi si descrivono in media con un ruolo in più rispetto agli uomini, che nella maggior parte dei casi si traduce in un ruolo di cura, come l’essere mamma o caregiver.

Poi è necessario attivare un effetto moltiplicatore attraverso la “transilienza” di cui parlavo prima. Ed è proprio quello che consente di fare il nostro metodo proprietario chiamato Life based learning: attraverso i percorsi digitali di self coaching e di autosviluppo si individuano i diversi ruoli, le capacità, le risorse nascoste e le soft skill allenate. Così le competenze, da quelle organizzative a quelle relazionali, fluiscono dalla sfera privata a quella professionale generando un circolo virtuoso, anche grazie a tutte le dimensioni che le persone esprimono ogni giorno attraverso le proprie passioni come hobby e sport.

Dopo il successo di Maam, La maternità è un master, è tornata recentemente in libreria con Cuore business. Per una nuova storia d’amore tra persone e lavoro. Ci parla del suo libro?

Il quiet quitting e il fenomeno delle grandi dimissioni, ma anche il basso tasso di occupazione femminile e la mancanza di motivazione dei giovani, sono la testimonianza di una profonda crisi nella relazione tra persone e lavoro. La ragione di questa crisi epocale e sistemica è nel grado di complessità raggiunta dagli esseri umani, che faticano a riconoscersi in definizioni precostituite e statiche. Nel libro parlo di come sia possibile riumanizzare il lavoro e trovare motivi per rimetterci il cuore, la passione e amare quello che facciamo. Dobbiamo fare spazio alle dimensioni identitarie delle persone e valorizzarle nei contesti lavorativi, in tutta la loro complessità.

Le aziende che imparano a fare spazio a questa complessità sono aziende più produttive e aperte al cambiamento, un posto dove è bello lavorare perché non bisogna lasciare fuori nulla di sé e anzi ogni aspetto contribuisce a renderci più efficaci, più felici. Migliori.

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