Il tasso di occupazione femminile in Italia
Secondo l’ultimo Rapporto firmato da Bankitalia, Ministero del Lavoro e Anpal, l’occupazione femminile è tornata a salire nei primi mesi del 2023, raggiungendo livelli storicamente elevati e contribuendo per quasi il 40% alla creazione di posti di lavoro. Si tratta di un valore superiore di 2,5 punti percentuali rispetto al biennio 2018-19.
I settori in cui le donne sono maggiormente assunte
Tuttavia, le donne occupano circa la metà dei nuovi impieghi a termine ma solo un terzo di quelli a tempo indeterminato. Il divario è riconducibile alla forte presenza femminile nelle attività di alloggio e ristorazione: in questi settori, più della metà dei posti di lavoro sono a tempo determinato, a fronte di un quarto nel resto dell’economia. Come rilevato dal Rapporto Terziario & Lavoro dell’Ufficio studi di Confcommercio, su 100 donne dipendenti, 69 hanno un contratto a tempo indeterminato mentre la percentuale di uomini dipendenti si attesa intorno al 52%.
Continuano poi ad essere impiegate anche nei servizi pubblici: istruzione e sanità nei servizi alla persona. Questo porta a redditi medi inferiori rispetto agli uomini, unitamente alla maggiore esposizione a lavori precari: nel 2021 la retribuzione media lorda settimanale era di 603,8 euro per gli uomini e di 468,12 euro per le donne (+22,5%).
Il confronto italiano rispetto alle altre economie europee
Lo studio evidenzia inoltre che, nonostante le ultime generazioni abbiano raggiunto un livello di istruzione e di rendimento scolastico superiore a quello degli uomini, le donne in Italia continuano a lavorare poco: il tasso di occupazione femminile in Italia è il 55%, oltre i 14 punti percentuali in meno rispetto alla media europea e oltre 18 punti rispetto alle economie più avanzate d’Europa.
Il difficile equilibrio tra vita e lavoro
Destinata poi ad influire negativamente la carriera è la difficoltà di conciliare vita e lavoro, che si acuisce con la nascita di un figlio. Secondo il Rapporto Plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro, che raccoglie i risultati dell’indagine Inapp, quasi una donna su cinque (18%) tra i 18 e i 49 anni non lavora più dopo la gravidanza e solo il 43,6% decide di continuare (il 29% nel Sud e Isole). La motivazione principale delle intervistate è la conciliazione tra lavoro e cura (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19%).
Le madri come caregiver principale nei nuclei familiari
Dall’indagine emerge inoltre che il titolo di studio protegge solo parzialmente dalla perdita del lavoro. Restano nel mercato del lavoro le più istruite (il 65% delle laureate), ma smette di lavorare oltre il 16% contro il 21% delle madri con la licenza media. Per favorire la conciliazione vita-lavoro, circa un quarto degli intervistati ritiene cruciale un orario di lavoro più flessibile, mentre un 10% indica la possibilità di lavorare in smart working. Il part-time è più frequentemente indicato dalle donne (12,4% rispetto al 7,9% degli uomini). Quest’ultimo dato sottolinea un modello familiare che limita la componente femminile nel ruolo di caregiver principale, con evidenti ripercussioni occupazionali e retributive sia nel breve e che nel lungo periodo.