Intervista a Pietro Cesati, fondatore e CEO della start up SOISY, neo piattaforma italiana di social lending, che mette in contatto chi ha bisogno di un prestito con chi ha del capitale a disposizione, bypassando così i canali tradizionali come banche e società finanziarie. Siamo andati a trovarlo per capire le dinamiche di un mondo che potrebbe rivoluzionare il settore banking.
Ciao Pietro, puoi raccontarci in breve come sei arrivato al mondo dei prestiti tra privati?
Prima di Soisy ero a capo del risk management di una grande banca. Seguivo il p2p (peer to peer lending) dalla sua nascita nel 2005 in UK e mi è sempre sembrato un modo affascinante di sostituire la banca con più trasparenza e a costi inferiori. Quando ho deciso di fondare qualcosa di mio, il mondo dei prestiti tra privati è stato quindi lo sbocco naturale.
A un anno di distanza dal lancio, come sta andando SOISY?
In questo momento cresciamo di oltre il 50% al mese, meno del 5% del nostro portafoglio è in arretrato e abbiamo una chiara roadmap per continuare a crescere. Però la storia di quest’anno non è stata sempre così semplice, abbiamo fatto molti test e imboccato parecchi vicoli ciechi prima di arrivare al business model attuale.
Oggi il nostro successo è basato su tre pilastri: innanzitutto minimizzare i rischi per gli investitori grazie a una garanzia di rendimento; poi semplificare al massimo l’esperienza utente per il richiedente, specie in negozio o su e-commerce; infine, totale trasparenza e zero spese nascoste per tutti.
Sappiamo che di norma è più semplice trovare investitori allettati dagli ottimi tassi di interesse piuttosto che pagatori affidabili. L’allargamento del business di Soisy al mondo degli esercizi commerciali è un modo per avere più garanzie?
In parte sì, i dati mostrano chiaramente che i prestiti fatti al momento dell’acquisto di un bene o servizio sono decisamente meno rischiosi di quelli fatti su web.
Non è però l’unico motivo: abbiamo lanciato l’offerta di Soisy sui negozi anche perché abbiamo capito che così avremmo potuto servire meglio i clienti. Parte del nostro valore aggiunto è, come dicevo, dato dall’esperienza utente che offriamo grazie all’innovazione tecnologica, e questo asset è più rilevante su negozi ed e-commerce. Per esempio siamo gli unici in Italia che danno la possibilità agli e-commerce di integrare il prestito sul proprio sito tramite API (Application Programming Interface) e che permettono alle persone di chiedere un prestito tramite cellulare direttamente in negozio.
L’84% del social lending europeo è concentrato in UK.
Germania, Francia e Svizzera sembrano mercati piuttosto dinamici. Perché in Italia i prestiti tra privati ancora stentano a decollare?
In parte perché nessun operatore è ancora riuscito a creare un modello di business sufficientemente disruptive per attirare i clienti al di fuori della ristretta cerchia degli appassionati e in parte perché gli investimenti in marketing sono inferiori. In altri paesi sono serviti diversi anni di investimenti per arrivare al break-even, ma in Italia i fondi di venture capital sono scarsi.
Però le cose stanno cambiando: gli investimenti sul fintech crescono e il numero degli operatori pure, erano 2 quando abbiamo fondato Soisy ad aprile 2016 e sono una decina adesso. È solo questione di tempo perché qualcuno azzecchi la giusta combinazione di modello di business e investimenti che permetterà al mercato di crescere.
Spesso, negli speech, parli della tua realtà come di “una banca senza la banca”. Secondo te, il settore banking dovrebbe essere spaventato dalla crescita del prestito tra privati, oppure esiste un’evoluzione in cui può avere un ruolo?
Secondo me ci sarà sempre un ruolo per le banche e ci sono parecchi spazi dove una collaborazione sarebbe sensata. Nel mondo anglosassone la convergenza delle due realtà è molto forte: ci sono grandi gruppi che finanziano i clienti tramite gli operatori p2p e questi ultimi che in qualche caso chiedono la licenza bancaria. Noi stessi siamo stati coinvolti in discussioni con vari istituti per potenziali collaborazioni. Certamente però il settore si dovrà abituare al fatto che lo spazio competitivo è diverso e che ormai è finito il vecchio mondo dove gli unici concorrenti delle banche erano loro stesse.