L’evoluzione del mercato del lavoro.
C’era una volta un mondo dove i candidati seguivano un preciso percorso di studio e formazione per ottenere una determinata posizione. Un mercato del lavoro in pressoché piena occupazione e piuttosto rigido che lasciava poco spazio all’immaginazione e alle scelte out of the box. Un mondo in cui a contare erano soprattutto le esperienze maturate sul campo.
Negli ultimi anni, complice la crisi e la disoccupazione ma anche il continuo sviluppo del terziario e una maggiore attenzione delle aziende alla brand identity del proprio team, le personalità dei candidati iniziano a contare quasi quanto le competenze acquisite. Le persone cambiano spesso lavoro e in molti casi le aziende devono scegliere tra centinaia di candidati, con i profili più disparati.
Qual è quello più qualificato?
Breve periodo vs lungo periodo.
“È senz'altro possibile insegnare a un tacchino a salire sugli alberi. Ma perché non assumere uno scoiattolo?” Uno degli aforismi più famosi delle Risorse Umane ci ricorda uno dei principali punti a favore dell’”experience and skill”, ovvero la possibilità di ottenere maggiore valore nel breve periodo da un candidato con già delle competenze acquisite. Nelle logiche aziendali di oggi il fattore tempo riveste senz’altro un ruolo strategico. In più formare una persona costa, i reparti sono spesso “sottostaffati” e non hanno la possibilità di seguire una nuova risorsa nel modo giusto, per trasmettergli le necessarie competenze. Per questo molte aziende preferiscono “comprare” piuttosto che “costruire” un talento.
Se nel breve dunque vince l’esperienza, nel lungo periodo però è la personalità del candidato ad emergere, i suoi soft skill, la capacità di lavorare in team o di essere indipendente, motivato, positivo, entusiasta di natura. Tutti aspetti che in una organizzazione prima o poi fanno la differenza.
“Hire the smile, train the skill”.
“Possiamo prendere delle persone gentili e insegnargli a vendere, ma non possiamo prendere dei venditori e insegnargli ad essere gentili” dice Bruce Nordstrom, boss di una delle GDO più importanti degli Stati Uniti. Molte aziende, soprattutto negli ambiti dove il lato umano è determinante, come nel customer care, sposano la filosofia “Hire the Smile, train the Skill”. Perché per quanto possa essere difficile trasmettere a una persona determinate competenze, è davvero impossibile insegnargli a sorridere, essere carina, rispondere educatamente al telefono, o addirittura stimolare la passione per quello che sta facendo e farà 8 ore al giorno. D’altro canto se un ingegnere nucleare è un genio del suo mestiere, questo probabilmente farà passare in secondo piano il suo carattere non proprio adeguato alle policy aziendali. Il settore dove si opera e il ruolo svolto sono quindi aspetti fondamentali per decidere se dare la priorità alla personalità oppure all’esperienza del candidato.
E per un manager?
Per un manager possiamo davvero dire che i due aspetti – esperienze e personalità – si bilanciano perfettamente. Non a caso, è uno dei lavori più difficili del mondo. E non a caso scegliere un manager è un vero e proprio lavoro. Il nostro per l’esattezza.