La mia ricetta per il futuro

Data di pubblicazione: 23 Mag, 2018

Ciao Fabio, che ricordi hai della tua formazione come cuoco?

Ho frequentato l’Istituto Alberghiero e già a 16 anni ho avuto le mie prime esperienze di lavoro durante l’estate. Ricordo che a settembre, quando si tornava a scuola, chi non aveva “fatto la stagione” veniva preso un po’ in giro. Aver lavorato in una vera cucina, anche solo come tuttofare, era un vantaggio importante, ti rendeva più motivato in classe. Finito l’Alberghiero ho lavorato come cuoco presso diversi ristoranti e anche in sala bar, per conoscere i segreti della mixologia. Nel mio curriculum ho un’esperienza in Australia, indimenticabile.

 

In cucina, che differenza c’è tra l’Italia e l’Australia?

Nell’impostazione del lavoro non ci sono particolari differenze. Ma in Australia la figura del cuoco è decisamente più valorizzata, anche a livello economico. A livello di qualità, 10 anni fa, quando ho lavorato lì, il cibo italiano che proponevano era una visione decisamente rivisitata, molto più “pannosa” di quella del Bel Paese. Negli ultimi anni, anche grazie ai programmi tv di cucina, le persone sono diventate più esigenti. Oggi gli australiani esigono un prodotto italiano al 100% e i ristoranti che hanno più successo sono quelli che rispettano questa filosofia.

 

Quindi l’esplosione di format tv di cucina aiuta il settore?

Lato cliente direi di sì, nel senso che ha stimolato nelle persone un forte interesse per la cucina di qualità. Dal punto di vista professionale ha avuto un effetto illusorio. La percezione che diventare chef sia alla portata di tutti. Ma questo settore prevede una lunga gavetta che ti forgia il carattere e ti insegna a non mollare mai. Bisogna essere organizzati, saper lavorare in team, avere una forte resistenza allo stress e una passione incrollabile. Oggi molti si approcciano al lavoro pensando di essere dei fuoriclasse e poi, entrati in cucina, vanno in crisi.

 

Tornando ai clienti, come stanno cambiando i gusti e le esigenze dei consumatori?

Si sta sviluppando una maggiore attenzione al cibo sano e salutare, anche in virtù di intolleranze e patologie sempre più frequenti, come celiachia e obesità. Nei supermercati vediamo ogni giorno di più prodotti con farina integrale, senza zuccheri aggiunti, senza conservanti, addensanti, o ingredienti grassi come burro e strutto. La sfida è quella di imparare a leggere bene le etichette e le percentuali. Una confezione di cracker che dice di essere realizzata con farina integrale, magari ha al proprio interno il 40% di farina bianca. Comunque vedo sempre maggiore consapevolezza nelle persone, soprattutto in quelle che praticano sport. Perché ci si rende conto che i risultati arrivano e la classica pancetta si butta giù solo se l’esercizio fisico è accompagnato da una corretta alimentazione.

 

In questo senso quale può essere la nuova frontiera del food?

Parto da una premessa. Oggi siamo sempre di corsa, abbiamo sempre meno tempo per cucinare e spesso siamo costretti a mangiare di fretta, rinunciando a tutti i nostri buoni propositi. I cibi pronti del supermercato spesso non riescono ad essere la soluzione a questa esigenza perché non rispettano uno dei capisaldi del cibo sano. Ovvero la freschezza. Hanno bisogno di fosfati e nitriti che ne aumentino la durata.
Credo che il futuro possa andare in una personalizzazione delle preparazioni in base alla dieta specifica di ciascuno. Parlo di “dieta” a livello etimologico, dieta come “stile di vita”. Penso quindi alla creazione di piatti pronti studiati ad hoc in base alle esigenze del singolo. Ricette da consumare entro 24 ore, realizzate con prodotti freschi, quindi frutta e verdura di stagione e prodotti a km zero che valorizzino le eccellenze locali.
Anche la ristorazione, quella più evoluta, si sta muovendo in questo senso, modulando i propri menu in base alle diverse tipologie di clientela. Poi la qualità passa sempre attraverso un rapporto stretto con i produttori del territorio e la conoscenza della filiera che sta dietro la materia prima fresca. Il prodotto sano non può che essere realizzato riducendo farine bianche lavorate, zucchero bianco e grassi idrogenati. Tutto questo ovviamente ha un costo maggiore. La farina integrale 100% ha un prezzo elevato. Un pomodoro cinese o un gamberetto dell’Ecuador costano sicuramente meno del loro corrispettivo italiano. Ma se si riesce a comunicare questo impegno, le persone sono disposte a pagare di più. Dico spesso ai miei amici: meglio andare a cena fuori una volta in meno, piuttosto che scendere a compromessi sulla qualità, e sulla propria salute.

 

Si può applicare questa filosofia anche ai dolci?

Certo. Il mondo della pasticceria si sta evolvendo con ricette più attente alla dieta e alle esigenze di un prodotto sano. È un processo lento perché le abitudini e il gusto dei consumatori sono fortemente radicati. Per tutta la vita ci siamo alimentati con prodotti ad alto contenuto di zucchero e togliere a un italiano la classica colazione brioche-cappuccino, sarebbe come spegnere la tv nella finale dei mondiali. Però, le alternative esistono. Come sostituire nelle preparazioni lo zucchero bianco con miele, zucchero di canna grezzo o dolcificanti naturali come la stevia. Ultimamente ho preparato un dolce a base di farina di cocco. I miei clienti non lo sapevano e ne hanno apprezzato molto il sapore. Solo dopo l’assaggio gli ho menzionato i vari ingredienti e si sono stupiti. È un cambiamento che le persone devono imparare a conoscere e… a digerire.

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