Buongiorno Lucio, ci racconti brevemente, di cosa si occupa il Financial Advisor?
Il Financial Advisor è un esperto di mercati finanziari. Ha come primo compito quello di curare la relazione con il proprio cliente, garantendo la migliore gestione possibile del suo patrimonio nel tempo.
Si tratta, indubbiamente, di un’attività con una componente consulenziale molto alta e variegata.
Infatti, non mi occupo solo di tutto ciò che riguarda i prodotti bancari o assicurativi, ma anche degli aspetti finanziari dei progetti dei miei clienti. Parlo di case, immobili, progetti imprenditoriali e successori.
Sei chiamato pertanto a rispondere anche per quanto riguarda aspetti amministrativi, legali, immobiliari, tributari. Come può un Financial Advisor essere preparato su una gamma così ampia di richieste?
È necessario delegare l’operatività ed il controllo di questi ambiti a chi di competenza. Per questo è fondamentale circondarsi di uno staff con figure di questo tipo. In sostanza, il valore che un Financial Advisor deve portare è composto da visione globale del mercato e conoscenza di una molteplicità di aspetti che possono essere applicati alla singola esigenza. Si tratta di un collante, al centro di un network di operatori: ha l’obiettivo di trovare la soluzione più corretta per il proprio cliente e garantirne gli interessi nel tempo.
Robot Advisor e modelli di autogestione finanziaria: come si collocano nella tua professione?
Ritengo che il “Robot Advisor” non sia una minaccia per la nostra professione, bensì che possa essere d’aiuto e al servizio del consulente per ottimizzare le scelte nella costruzione di un corretto portafoglio finanziario.
Una delle criticità del nostro mercato è la bassa cultura finanziaria, pertanto ben vengano tutte le innovazioni che possono colmare questa lacuna. Molti clienti si fidano totalmente di noi, dandoci la massima delega. Se da un lato questo è un ottimo segnale di qualità del rapporto, dall’altro carica il consulente di una grande responsabilità che deve essere affrontata con un continuo studio e approfondimento dei mercati e degli strumenti finanziari, sfruttando al massimo tutte le innovazioni a disposizione per una corretta pianificazione.
Nella tua crescita professionale, il tuo rapporto con gli istituti bancari si è trasformato: un’evoluzione nata dalla comprensione e analisi delle diverse modalità con cui esse si relazionano con clienti e partner. Ci puoi raccontare la tua visione?
Ci sono elementi di convergenza tra i diversi istituti, ma il modello di relazione con il mercato che ogni realtà sceglie è la prima grande differenza e ne determina anche il portafoglio clienti.
Ci sono, in primis, le banche tradizionali, radicate nel territorio, che attraggono la clientela mass market, puntando più sui servizi che sulla consulenza finanziaria.
Esistono poi istituti che per modello di business non hanno filiali e richiamano una clientela che vuole sentirsi autonoma.
Negli ultimi anni stanno crescendo molto le Banche Private, che integrano il modello tradizionale, e relativa presenza sul territorio, con quello consulenziale. Queste non sono tutte uguali, ma ognuna ha la sua specificità e diversa caratterizzazione che deve ben conciliarsi con le caratteristiche proprie di ogni cliente, ma anche degli stessi consulenti.
Chi è votato alla sicurezza e non al rischio ha esigenze e necessità diverse rispetto a quelle di una clientela alla ricerca di grossi profitti che sconta, inevitabilmente, rischi più elevati.
In questo contesto quindi, quali sono le sfide future per un ruolo come il tuo?
C’è sicuramente un tema generazionale da gestire.
La fascia over 60 è generalmente ancora legata all’approccio tradizionale ed è più fidelizzata. Quella tra i 30-50 anni, nonostante sia più vicina al mondo del Financial Advisor, rimane la più ostica da intercettare e da gestire poichè ricerca standard di servizio più alti.
Ad esempio, un manager 40enne di una multinazionale vuole risposte veloci ed è abituato a logiche non solo italiane. Sarà quasi inevitabile operare all’interno di grandi gruppi internazionali, per dare risposte ad ampio spettro.
Altra sfida è quella culturale.
In generale, negli ultimi anni si è stratificata una percezione negativa nei confronti della finanza. È venuta meno la fiducia e si è radicata la percezione – in Italia – di stare attraversando anni neri, ma si tratta di un’impressione che non rispecchia la realtà.
I mercati, italiani e non, sono stati estremamente dinamici e positivi dal 2009 in poi. Portare il cliente a maturare una visione diversa da quella dei media non è facile, ma l’analisi dei numeri in questo ci aiuta.
Infine, c’è un tema di garanzia e fiducia, dopo le crisi di alcuni istituti bancari italiani. Operare all’interno di grandi gruppi internazionali, che possono vantare rating molto alti, deve rassicurare il cliente, perché sono garanzia di gestione e controllo del rischio molto accurati.
In chiusura, ritengo che il Financial Advisor debba diventare sempre più un attore multicanale.
La relazione, che è alla base del nostro lavoro, dovrà evolvere e seguire i cambiamenti sociali delle generazioni. Per questo motivo, il rapporto non potrà più essere strutturato solo con incontri e telefonate, ma anche con servizi paralleli, come siti, mailing, comunicazioni social ed eventi sul territorio.