Food, digital e made in Italy. Una ricetta possibile

Data di pubblicazione: 20 Feb, 2018

Ciao Nicola, il Food & Beverage è una delle eccellenze italiane più apprezzate nel mondo. Secondo te è un mercato che può avere un buono sviluppo anche on line?

Direi piuttosto che il canale on line rappresenta un’enorme opportunità di "globalizzazione", oltre che di scoperta e affermazione del marchio Made in Italy nel mondo. Soprattutto per quelle realtà che personalmente definisco i local fine food italiani, ovvero importanti produttori locali e artigianali non di largo consumo.
Non a caso, nell’insieme dello stesso concetto del Made in Italy e del più complesso “posizionamento Paese”, l’enogastronomia nostrana è un’eccellenza indiscutibile, al punto da essere la più imitata, al pari della moda. Pensiamo al caso Parmesan o ai vari brand di pasta o condimenti al pomodoro, dal “sound italiano” ma prodotti interamente all'estero.
Rispetto allo sviluppo online delle specialità enogastronomiche, bisogna considerare alcune peculiarità che sono insite nel prodotto stesso, e per le quali non sono sufficienti belle foto o ottime descrizioni. Servono anche strategie per un totale coinvolgimento dei sensi e un marketing fondato su servizio e creazione della domanda.
In aggiunta a questi elementi, occorre citare le specifiche problematiche di trasporto, conservazione, packaging, magazzinaggio, distribuzione, rotazione e disponibilità del prodotto, insieme a un'attenta e continua azione di scouting delle migliori specialità presenti sul territorio.

 

Quali sono i prodotti Made in Italy più esportabili tramite l'e-commerce? Che caratteristiche devono avere?

Questa è una domanda molto complessa, anche perché implica ragionamenti e conoscenze di logistica integrata. Dalla mia esperienza in merito, direi che bisogna tener conto di diversi aspetti: shelf-life, certificazioni richieste da ogni Paese di importazione, packaging, formati, linea o catena del freddo, differenze tra canale B2B e B2C.
Se invece parliamo di graduatorie e preferenze allora posso citare i dati oggettivi del “rapporto I.T.A.L.I.A. 2017” (Geografie del nuovo Made in Italy realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e dalla Fondazione Edison di Marco Fortis) che, tra i prodotti enogastronomici più acquistati all’estero, riporta proprio i classici: pasta, parmigiano, gorgonzola, mozzarella, vino, salumi ecc.
Lo stesso rapporto evidenzia come vi sia un enorme potenziale di mercato pronto a recepire entusiasticamente i prodotti di nicchia. Ci sono già alcune food startup italiane che hanno da poco iniziato a penetrare il mercato USA, proprio con i prodotti regionali italiani, ottenendo un ottimo riscontro.

 

Negli ultimi anni, sono nate diverse app e siti di e-commerce alimentare italiani, che offrono soluzioni di acquisto personalizzate. Quali sono gli ingredienti di una piattaforma di successo? 

Più che di piattaforma di successo, parlerei di offerta di successo. Il Food & Beverage italiano ha necessità di molto “servizio”. Non basta proporre o vendere singoli prodotti innescando i classici cross selling, up selling e acquisti ripetuti. Occorre incentrare la propria proposta su un concetto di italian style a 360 gradi.
Il prodotto non è più fine a se stesso, ma viene collocato all’interno di contesti di consumo nuovi, come ad esempio ricette più o meno complesse che diventano parte di cooking o food game che prevedono vari livelli di difficoltà e la possibilità di far intervenire altri partecipanti, innescando così logiche di social eating.
Per farla semplice: cuciniamo italiano tutti insieme, divertiamoci giocando a fare i cuochi e condividiamo a tavola quello che abbiamo preparato.
Sempre nella logica del servizio, potremmo o dovremmo considerare un’offerta il più possibile elastica e quasi “auto componibile” suggerendo la composizione del paniere sulla base di prodotti esistenti e disponibili, o prendere una posizione completamente differente, che sposta l’attenzione dal prodotto al brand Made in Italy e infine a quello della piattaforma che li distribuisce, proponendo acquisti periodici fiduciari (ad esempio la surprise box).

 

L'e-commerce potrà mai sostituire i tradizionali canali di vendita?

Non parlerei di sostituzione ma di integrazione in una logica omnichannel, come sta accadendo per molti segmenti del retail. Certo, se parliamo di specialità Food & Wine e in particolare di export, dobbiamo considerare quali possono essere i canali da integrare e come creare engagement. Per questo è necessario pensare all’enogastronomico come a una possibilità di crescita per altri segmenti e settori, con i quali creare interazione e sviluppo.

 

Puoi spiegarci meglio questo concetto?

Certo. Partiamo ad esempio da un dato (fonte Food Travel Monitor di WTFA): il 49% dei turisti internazionali dichiarano di essere mossi da una motivazione enogastronomica. Non più, e non solo, un Turismo di luoghi, ma soprattutto un Turismo di esperienze. Il rapporto del WTFA rivela importanti dinamiche di mercato tra Turismo ed Enogastronomia ed evidenzia come le attività turistiche legate a vino e cibo condizionino la scelta di una destinazione, e favoriscano l’acquisto di generi alimentari tipici di un luogo una volta tornati al Paese d’origine.

 

Quindi quale potrebbe essere per te uno scenario di sviluppo internazionale del brand Italia e del Food & Beverage italiano?

Beh, ne dico una fra tutte. Pensiamo alle DMC (Destination Management Company) e alla possibilità di integrare una offerta esperienziale legata al Food & Beverage, tipico e locale, ai luoghi di derivazione o produzione. Pensiamo all'opportunità di abbinare e-commerce e distribuzione fisica non specialistica per permettere la ripetizione di acquisto di quanto si assaggia e si scopre nei luoghi d'origine, come ad esempio il sostegno e l’incentivazione di gruppi di acquisto privati che possono utilizzare la piattaforma per effettuare gli ordini.

 

Rispetto agli USA e ad altri Paesi, l'e-food in Italia è ancora marginale. Credi in una sua rapida evoluzione anche nel Bel Paese?

Non credo sia uno scenario possibile, almeno in pochi anni. Magari mi sbaglio.
La mia convinzione deriva, però, dalle differenze strutturali con gli USA, sia urbane che sociali; dalle caratteristiche della distribuzione commerciale – in particolare dalla numerosa presenza di produttori specialty presenti sul nostro territorio – e infine dalla enorme disponibilità di offerta, sia in senso fisico che economico.
Proprio per questi motivi, credo che uno scenario maggiormente probabile sia quello relativo a uno sviluppo digital specialistico o verticale sul km-zero e sulle offerte artigianali del territorio. Il fenomeno della classica spesa online tout court – servizio già offerto da molte catene della GDO – credo sia più legato e relegato ad alcuni contesti metropolitani e a fasce di popolazione ben definibili.

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